Indice

1.I gruppi dirigenti d’inizio secolo

2.Un nuovo tipo di vino ed il vigneto della Provincia di Siracusa a fine secolo

a)Sestini 1775

b)Balsamo 1808

c)Leni 1853

d)Contarella 1875

e)La China 1890

f) “Notizie e studi intorno ai vini ed alle uve d’Italia” (1896)

g)Il vino da taglio, il “bianco” o Cerasuolo e la difesa della gessatura in Neli Maltese (1897)

3.La ricostituzione dei vigneti vittoriesi (1895-1905)

4.Il Consorzio Agrario e le sue Distillerie (1902-1909)

a)Il Consorzio Agrario (1902)

b)la nascita della Distilleria (1906-1907)

c)Un secondo impianto di distillazione (1909)

5.La Cantina Sociale Cooperativa (1904)

a)Scopi ed organizzazione della Cantina

b)L’attività della Regia Cantina Sperimentale di Noto nel Vittoriese

6.Il Numero Unico per l’inaugurazione della Cantina (luglio 1905)

a)G.Caputi, Sulla necessità della specializzazione tecnica e commerciale della produzione vinicola a Vittoria.

b)Neli Maltese, L’avvenire del vino nel Vittoriese

c)Corrado Montoneri, Passato presente avvenire del vino di Vittoria

7.La situazione sociale a Vittoria nei verbali della Giunta Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia (1908)

8.Vittoria nelle Ricerche per migliorare le condizioni economico-agrarie del territorio di Vittoria, dell’enotecnico Arcangelo Mazza (1910)

a)Parte prima. Notizie generali sul territorio e la composizione sociale della città

Box. Arcangelo Mazza (di Giovanni Foti)

b)Parte seconda, intitolata “La causa e gli effetti dello Stato presente”

b1)la vendemmia

b2)La pigiatura o ammostatura.

b3)Vinificazione delle uve.

b4)Produzione annua media dell’intero territorio.

c)Altre colture arboree, le piante ortensi e varie

d)Organizzazione del lavoro e salari. L’opera benefica della Lega di Miglioramento

e)Le braccia impiegate nell’agricoltura e i patti a cui devono sottostare i lavoratori

g)Qualità e quantità di salario

h)Brevi considerazioni sulle migliorate condizioni economiche del proletariato rurale e sul futuro.

i)Credito bancario ed istituzioni cooperative

l)Proposte finali

9.L’inizio della coltivazione del pomodoro e le prime attività industriali a Vittoria

10.Il primo dopoguerra e le distillerie vittoriesi

a)La crisi del Consorzio Agrario e le vicende generali del vigneto nel periodo 1920-30

b)Le distillerie a Vittoria tra le due guerre e fino agli anni ‘50

c)Il vino di Vittoria dalla visita di Mussolini allo sbarco degli Alleati

11.Il secondo tracollo del vigneto e il dibattito sui vini-tipo nel 1955

12.Il dibattito sulla crisi: dalla sofisticazione alla mancanza di un “vino-tipo” agli alti costi della distillazione

13.Il dibattito sui vini-tipo nel giornale “L’Eco di Vittoria”

a)L’opinione del dr. Giombattista Cannizzo

b)L’intervento del dr. Franco Palazzolo

c)L’intervento del dr. Gioacchino Consalvo Bertini

d)L’intervento del cav. Giuseppe Di Matteo

e)I primi tentativi per il riconoscimento di un vino-tipo”

f) Nuovo intervento del dr. Franco Palazzolo

14.La nascita del Cerasuolo moderno e il riconoscimento come D.O.C. (1973) e poi D.O.C.G. (2005)

a)Decreto del Presidente della Repubblica del 29 maggio 1973 per la D.O.C.

b)Alcuni giudizi sul Cerasuolo dopo il riconoscimento della D.O.C.

c)La concessione della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (2005)

d)La concessione della D.O.C. ai “Vini Vittoria” (2014)

Epilogo (con un caldo invito a rivedere le notizie “storiche” fasulle inserite nei siti)

1.I gruppi dirigenti d’inizio secolo

«La crisi di fine secolo a Vittoria è all’origine di una profonda trasformazione sociale», scrive il prof. Uccio Barone[1]. Lo studioso poi spiega perché:

«La capitale iblea del vino, infatti, da un lato registrò la scomparsa o la proletarizzazione di alcune migliaia di piccoli proprietari e mezzadri privi dei capitali necessari per il reimpianto o per la riconversione colturale, dall’altro vide svilupparsi un nuovo ceto di proprietari-imprenditori in grado di effettuare massicci investimenti finanziari per rilanciare su basi nazionali la vitivinicoltura. […] Vittoria reimpiantò circa 5 mila dei 10 mila ettari distrutti (un terzo era stato risparmiato dal parassita) e riprese a produrre intorno ai 250 mila ettolitri. Del resto, la congiuntura economica tornava a presentarsi favorevole: la sigla dell’accordo commerciale con la Francia nel 1898, i trattati di commercio con gli Imperi centrali, l’attivazione della ferrovia Licata-Siracusa, la stessa diffusione della fillossera in Austria-Ungheria tonificavano la domanda internazionale a livello dei prezzi, aprendo una seconda stagione per il vino ibleo. Questa volta però i protagonisti non furono i piccoli produttori e mezzadri rovinati dalla crisi del 1888-1895, ma un nucleo di grandi proprietari che durante l’età giolittiana furono capaci di innovare tecniche agronomiche e metodi di vinificazione, riorganizzando l’industria enologica.Si verificava un processo di selezione capitalistica del mercato: gli artefici della rinascita vitivinicola vittoriese furono una diecina appena di famiglie possidenti (Jacono-Rizza, [Scrofani] Ciarcià, Carfì, Scrofani, Pancari) che acquistarono all’asta centinaia di “partite” espropriate dal fisco per debito d’imposta ed intrapresero la difficile sfida di sostituire il mercato interno italiano ai declinanti sbocchi esteri. Anche se si tratta di una storia tutta da scrivere, i caratteri di questa mutazione genetica della città si intravedono con nettezza: da un lato si forma in questi anni di transizione lo “zoccolo duro” del capitalismo agrario vittoriese, dall’altro cresce e ribolle nei vicoli periferici un folto bracciantato, proletariato senza terra, che vive alla giornata e rende la città una polveriera sociale. Il censimento del 1901 fotografa la nuova condizione sociale del paese: gli abitanti di Vittoria sono diventati 32 mila, di cui 10 mila senza professione alcuna, 6 mila sono i lavoratori “giornalieri”, 2 mila gli artigiani e gli edili, un migliaio i conduttori diretti di fondi, 600 i possidenti, 108 i liberi professionisti. Rispetto all’agrotown ottocentesca imperniata sulla piccola proprietà, Vittoria appare ora segnata da una netta polarizzazione sociale».

Continua poi l’autore: «Le sue classi popolari sono più numerose e più povere, e fra esse si diffondono le idee socialiste di Nannino Terranova, Gaetano Puglia, Salvatore Molé. Dopo i fasci, il circolo socialista, la Lega di Miglioramento, quelle dei Muratori e degli Innestatori (1901), il giornale “L’Insofferente” (1902) difendono gli interessi delle masse subalterne dai costi sociali della ristrutturazione capitalistica del comprensorio. I nuovi “signori del vino” battono la strada della cooperazione e dei consorzi fra produttori per riaffermare la presenza sui mercati…». Barone, dopo aver citato la nascita del Consorzio Agrario (1902) e della Cantina Sociale Cooperativa (1904), scrive che la struttura«vinifica le uve dei soci e garantisce standard di qualità ai compratori liguri e piemontesi (attraverso la mediazione della ditta Grasso Cicerone): torchi, pigiatrici meccaniche e pompe idrauliche sono forniti gratuitamente dagli Jacono e da Rizza. I primi producono vino rosso in contrada Mosenna, e rosato a Rosario, il secondo (Evangelista Rizza ha sposato donna Teresa Iacono) opera nell’azienda modello del Fegotto; ad essi si aggiungono gli Scrofani Ciarcià (vino rosso a Sabuci) e Salvatore Carfì (sindaco dal 1895 al 1903 e dal 1907 al 1911) col suo “bianco” di Castelluccio. Questa ristretta élite guida anche le sorti della Cooperativa Agricola fondata nel 1909 con 400 soci per l’esercizio del credito agrario, e partecipa anche alla costituzione nel 1910 dell’Unione Cooperativa che commercializza uve e vini da pasto di 500 soci in Sud America».

In verità, le cose non stanno proprio come scrive il prof. Barone.

Vero è infatti che la crisi fu fatta pagare ai lavoratori con la riduzione dei salari (vedi Parte V), ma il nerbo della borghesia vittoriese, cioè quelle centinaia di proprietari medi e grandi (censiti in n. di 1240 nel 1901) rimase quasi integro, come vediamo dai cognomi delle maggiori famiglie sia nei riveli del 1811-16 sia negli elenchi dei consiglieri comunali dal 1818 al 1927.

I 5307 braccianti censiti nel 1901 non spuntano a mio avviso dalla crisi della fillossera o dal nulla, ma sono il portato del modo di condurre la terra a Vittoria: parte in proprio come coltivatori diretti e parte a mezzo di braccianti, come sempre era accaduto sin dal Settecento.

Probabilmente la crisi accrebbe in parte questo numero, ma non lo creò.

Né mi convince la tesi che solo i grossi proprietari fossero nelle condizioni di reimpiantare i vigneti. Come sappiamo, le norme contro la fillossera e l’impianto di vivai statali aiutarono moltissimo anche i piccoli coltivatori a reimpiantare i loro vigneti, altrimenti non avremmo ancora nel 1910 registrati ben 11.000 ettari di vigneti.

Tra i 1240 proprietari piccoli medi e grandi censiti nel 1901, alcune decine avevano vaste tenute e i loro nomi ricorrono nell’elenco dei consiglieri comunali ed assessori dalla fine del secolo al 1925. Appartenevano alla borghesia “vinaiola” famiglie venute a Vittoria sin dai primi tempi (alcune delle quali si fregiavano del titolo baronale) e altre in tempi più recenti. Poiché il voto fino al 1914 fu rigidamente limitato dal censo, in tutti i consigli e nelle giunte comunali dal 1860 in poi ricorrono sempre gli stessi nomi. Tra essi le famiglie Alessandrello, Alfieri, Amodei, Astuto, Battaglia, Benvissuto, Bertone, Bresmes (di recente immigrazione da Terranova ed antichi agenti di Ingham), Bucchieri, Calì, Cancellieri, Carfì, Carfì-Jacono, Carfì-Pavia, Catalano, Consalvo, Contarella, Coria, Costanzo, Criscione, Cultrone, D’Andrea, De Pasquale, Di Blasi, Di Fazio, Di Franco, Di Giacomo, Di Modica e Di Modica Gucciardello, Di Paola, Di Stabile, Ferro, Fichera, Foti, Giacchi, Giombarresi, Giordano, Giudice, Giudice Porcelli, Giudice Bennardo, Giurato, Gucciardello, Jacono, Jacono-Buscarino, Jacono-Rizza, Jacono Roccaddario, Japichino, Leni Spadafora, Li Rosi, Lo Monaco, Lucchese/Lucchesi, Maiorana, Maganuco, Maltese, Mandarà, Mangione, Marangio, Marangio, Mazza, Mazza Mandarà, Mazzone, Mazzone, Migliorisi, Molé, Muscolino, Nicolosi, Nicosia, Nicosia-Russolillo, Olivieri, Pancari, Paternò, Paternò Bonelli, Paulsen (Trofimo, figlio di Federico), Petino, Piccione, Platania, Platania-Cancellieri, Porcelli, Puglia,  Reccavallo, Ricca, Rizza, Salmé, Santangelo, Santapà, Scalone, Scrofani, Scrofani-Ciarcià, Segreto, Sigona, Terlato, Traina. Molti di questi cognomi ci sono noti sin dal Settecento e ne abbiamo elencati parecchi nella Parte II. L’ascesa sociale rese i rampolli di antiche famiglie di coltivatori diretti (massari e borgesi) in gran parte avvocati, medici, ingegneri, notai, enotecnici, dottori in agraria. Tra essi molti i nomi di liberali poi passati al fascismo e poi confluiti in gran parte nella Dc subito dopo il 1943.

Di questa classe dirigente facevano parte anche coloro che vivevano attorno al Municipio: esattori, tesorieri e appaltatori dei vari dazi. Tra essi dal 1870 al 1920 ricorrono i seguenti cognomi:

Calì (Paolo), Carfì (Giacomo padre del sindaco Salvatore e Pietro, fratello del sindaco), Mazza Porcelli (Giovanni), Porcelli (Cesare), Consalvo, Lucchesi, Mazzone (Ferdinando), Jacono Roccaddario (Giuseppe e il fratello Filippo Neri),  Samperisi (Giovanni), Marchese, Salmé, Astuto, Giurato.

Assai ampio risulta il tessuto del commercio tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. La famiglia Galbo vendeva “oli alimentari” in via Cavour ai numeri 286-296; i Rovetto “paste da minestra”; gli Zanchi-Biazzo “polvere da caccia”. Ben nove erano i punti vendita di prodotti agricoli (fra cui quelli dei Carfì-Pavia, degli stessi Galbo, Casabene, Frasca, Nicosia Carfì, Traina, Tringale, Vincivalle). Esistevano poi profumerie (De Paola, Santonocito e Masuzzo); salsamenterie (Campanile, Tringale, Amodei); quattro sartorie da uomo (Ronsisvalle, Baudo, Gentile, Giacona); negozi di tessuti (Blundo, Di Martino Parlato, Empoli, Giardina, Lombardo, Pappalardo, Settecase); di cappelli da uomo (Lombardo, Rizzo Gravina, Santonocito e Masuzzo). Inoltre due tipografie (Velardi e Cabibbo); quattordici rivendite di vino (fra cui quelle rinomate delle famiglie Bellassai, Carfì Ingallina -anche a Scoglitti-, Carfì-Pavia, D’Andrea -Giovanni e Michele-, Galbo, Migliorisi-Cannizzo, Nicosia Carfì, Patané e Toscano, Porcelli, Scalone, Traina E.le e Gioacchino); rivendite di “acque gazzose e seltz” e alcool (sempre Galbo e Samperisi); addobbi per appartamenti e “carte da parato” (Grasso Cicerone). Ben nove erano gli assicuratori, tra cui Luigi La Grua con “La Fondiaria”, “The Gresham” per il ramo vita, la “Reale Compagnia Italiana”, “L’Union” per gli incendi. Cinque gli alberghi (Santonocito, Catanese, Centrale, Garibaldi, Roma), due i negozi di “aste dorate” (Grasso Cannizzo, Grasso Cicerone) e due di calzature (Di Bartolo, Salinas), due di “carte e oggetti da scrittoio”. Le “chincaglierie e generi diversi” erano venduti in ben sette negozi (Calarco, Consalvo, De Paola, Montemagno, Pocorobba, Rizza), mentre risultavano anche allora alcune persone definite precisamente “commissionari e rappresentanti di commercio”, in grandissima parte gli stessi già prima elencati (Carfì Ingallina, Carfì Pavia, Casabene, Giurato, Nicosia Carfì, Traina). Non mancavano poi i venditori di cotoni e lini filati (Giardina, Gioiellieri), passamanerie (Rizza), cristalli, terraglie e porcellane (Maggiore, Traina), cuoiami (Di Vita-Amarù, Grasso Cicerone, Gulino-Scuderi), dolci e  paste (Schito), droghe e coloniali (Sarri, Campanile, Consalvo, Galbo e Gioiellieri), bar-caffè (Galbo) e, naturalmente, i fabbricanti di botti (Battaglia, Santoro). Infine i venditori di “ferramenta e metalli” (Consalvo, Di Paola, Gioiellieri, Rizza, Ronsisvalle), di legnami e mobili (Foti, Grasso Cannizzo, Grasso Cicerone), di libri (Milo, Santonocito e Masuzzo). Numerosi anche i liberi professionisti: farmacisti (Bertone, Calì, Costanzo, Platania), ingegneri (Puglia, Nicosia), enotecnici (Paulsen, Mazza), notai (Maltese, De Pasquale, Mazzone, Molé, Muscolino), medici (Bellassai, Burrafato, Japichino, Giordano, Lena, Nicosia, Gucciardello, Porcelli), cambiavalute (Bucchieri), industriali e banchieri (D’Andrea e Scrofani-Ciarcià), docenti (Nicolosi, Scrofani), avvocati (Alessandrello, Calì, Caruso, Giudice, Jacono, Licitra, Maggiore, Maltese, Mazza, Paternò, Ricca, Rizza-Jacono), ingegneri (Gambuzza, Puglia, Zirone). Tutte queste famiglie, assieme a quelle di alcuni proprietari terrieri (fra cui spicca l’on. Evangelista Rizza) furono in gran parte i committenti di nuove case o di ristrutturazioni in stile Liberty e guidarono in parte la ricostituzione dei vigneti.

La città che per la festa del Patrono nel luglio 1900 costruisce un carro di San Giovanni al di là della possibilità di manovrarlo e che a stento per la sua grandiosità poté scorrere lungo le strette vie cittadine, è una città che ha già imboccato la via della rinascita. La sua borghesia, dall’Unità d’Italia laceratasi in partiti cittadini che si riconoscevano nella Destra e nella Sinistra a livello nazionale, dal 1865 aveva visto il campo politico dividersi nettamente tra famiglie ed elettori legati ad una parte della famiglia Jacono (don Giombattista figlio del defunto don Giuseppe) ed un altro gruppo che si riconosceva nell’avvocato Rosario Cancellieri (deputato dal 1865 al 1874 e poi dal 1876 al 1882 e Senatore del regno dal 1890 al 1896), seguace della Sinistra di Rattazzi e poi di Depretis e poi crispino, pur se con qualche distinguo. Dal punto di vista amministrativo, dopo gli otto anni del sindaco Francesco Salesio Scrofani (1861-1868), in ultimo funestati dal colera del 1867, il Governo di Destra dell’on. Giovanni Lanza aveva nominato sindaco il capo della fazione Jacono, don Giombattista (1868-1874), feroce avversario di Cancellieri. Chiamato in causa nel 1874 nel processo per l’omicidio del giovane Mario Pancari (figlio di un antico filoborbonico, il dr. Filippo) risalente al marzo 1871, processo che vedeva imputati i fratelli Antonio e Salvatore ed il cugino Giombattista Mazza Jacono come mandanti, rifiutò di dimettersi ed allora il Prefetto di Siracusa sciolse il Consiglio Comunale. Dopo tre mesi, rieletto il Consiglio (che risultò sempre a maggioranza jaconista), la città per due anni rimase senza sindaco, con il dr. Felice Maltese sindaco ff. nell’ultimo periodo. Nel 1876 il Governo Minghetti nominò sindaco il cav. Giovanni Leni Spadafora, già presidente del Comitato di Sicurezza Pubblica nel 1848 e sindaco dal 1853 al 1856 (era zio per parte materna dell’assassinato Pancari). Leni, pur di Destra, non faceva parte del partito Jacono. Divenuto uno dei più influenti parlamentari della Sinistra, Cancellieri si fece nominare Sindaco nel febbraio 1879 e rimase in carica fino al luglio 1882, quando la nuova legge elettorale stabilì l’incompatibilità tra le cariche di Sindaco e di Parlamentare[2]. Il suo triennio amministrativo passò alla storia come un periodo di grande progresso sociale e culturale ed il suo nome rimane legato al P.R.G. e di Ampliamento del 1880, alla nascita del Ginnasio, all’acquisto della sorgente di Scianna Caporale e soprattutto alla realizzazione della linea ferrata Siracusa-Licata, per la quale si batté 30 anni, riuscendo tra il 1892 ed il 1893 a vedere l’arrivo delle locomotive a Vittoria, Comiso e Ragusa, cosa che sancì l’apoteosi politica del Senatore. Dopo la breve parentesi della sindacatura del giovane don Gioacchino Jacono (cugino di don Giombattista e cognato di Rizza) terminata nel 1884 con l’insediamento del commissario Arpa (che mise sotto accusa l’amministrazione Cancellieri), il partito Jacono di don Giombattista (cui si deve la costruzione del nuovo teatro) si insediò stabilmente al potere con una serie di Sindaci, alcuni dei quali “pupi” guidati dal patriarca e dal nipote Titta figlio del fratello Antonio (il primo dei sindaci “pupi” almeno secondo Jacono Roccadario fu Giombattista Carfì Pavia -già agente di Ingham e Whitaker-, sindaco nel 1887-1888). Poi, dopo la sua ultima sindacatura elettiva (1889-1890), una nuova generazione prese il potere, con un Consiglio Comunale in cui i cancellieriani erano sparuta minoranza. Dopo la sindacatura di Giovanni Porcelli Mazza (1890-1892), fu eletto il barone Francesco Leni Spadafora (figlio del barone Gaetano, sindaco dal 1842 al 1846) fino al 1895. Poi fu eletto Salvatore Carfì Jacono (1895-1903 e poi dal 1907 al 1911), con l’intermezzo Giuseppe Giudice Porcelli (1903-1907). Salvatore Carfì (amministratore di grandi capacità, che portò a compimento l’acquedotto di Scianna Caporale nel giugno 1898 ed inaugurò per Vittoria l’età della luce elettrica), si dimise nel 1911 per profondi contrasti con don Gioacchino Jacono. Costui, divenuto sempre più potente (e più ricco), con una carriera che da sindaco cancellieriano nel 1883-84, dopo una delusione nelle Politiche del 1886 aveva lasciato la Sinistra e si era dedicato a costruire un proprio “partito”. Nel 1900 era stato l’artefice della candidatura del cognato don Evangelista Rizza alla Camera con il motto “Pace!Pace!” per mettere fine ai contrasti tra cancellieristi e jaconisti, una candidatura che aveva inglobato tre quarti del partito Cancellieri. Caratterizzato dagli scontri con is socialisti di Nannino Terranova, il primo decennio del secolo era stato appunto dominato da Carfì. Dimessosi questi, il Partito Municipale (cioè i vari rami della famiglia Jacono ed i loro parenti stretti: Ricca, Scrofani, leni etc.), elesse Sindaci “eterodiretti” appunto da don Evangelista, don Gioacchino, dal rampante nipote Giombattista detto Titta Jacono (figlio di Antonio) e Ferdinando (figlio di Salvatore)[3].

Sindaci accusati di essere meri esecutori di ordini furono Cesare Giordano (1911-1912), Gioacchino Giudice (1912-1914) e l’avv. Emanuele Lucchesi (1914-1920). Pertanto, nel periodo della rinascita del vigneto, furono sindaci Salvatore Carfì e Giuseppe Giudice Porcelli, dal 1895 al 1911. Esponente del partito Cancellieri era rimasto don Franco Scrofani Ciarcià, ondeggiante tra la sirena di Rizza e l’antico orgoglio del cugino Senatore, mentre un nuovo soggetto politico nato dalla crisi si era affermato a Vittoria: il Partito Socialista di Nannino Terranova, che cominciò a dare filo da torcere al partito municipale, fino a conquistare il Comune, dopo un ventennio di lotte, nel novembre 1920. A questi gruppi dirigenti fatti di proprietari di vigneti di medie e grandi dimensioni al potere nei due decenni 1890-1910 si deve la ricostituzione dell’economia vinicola cittadina dopo le distruzioni della fillossera. La ripresa avvenne su tre direttrici:

a)il reimpianto generalizzato con viti americane;

b)l’uso dell’associazionismo, con la creazione del Consorzio Agrario (1902) che creò nel 1906 una  Distilleria (inaugurata nel 1907) ed una seconda nel 1909;

c)la nascita della Cantina Sociale Cooperativa, che provocò anche un ampio e qualificato dibattito sulla ricerca di un vino tipico.

A mio avviso, non la totale ricostituzione dei vigneti come qualcuno pensa ma questa ricerca del vino-tipo fu il maggior contributo che i gruppi dirigenti liberali diedero all’epoca alla storia vinicola della Città.


[1]Giuseppe Barone, Vittoria, città in carriera. Dal vino alle serre (articolo pubblicato su La Sicilia di sabato 14 ottobre 1995).

[2] Per ulteriori notizie, mi permetto di rinviare alla mia biografia di Cancellieri.

[3] Giombattista (1825-1893), Salvatore (1826-1920) e Antonio (1833-1904) erano figli di don Giuseppe Jacono Lucchese (1793-1862) discendenti di don Giombattista Jacono (1754-1815), fratello del dr. Antonio (1764-1833, dal quale era nato tra gli altri don Ferdinando (1804-1863), padre di Giocchino (1852-1929) e Teresa, moglie di Evangelista Rizza (1842-1920).

Paolo Monello

Nato a Vittoria nel 1953, già sindaco (1984-1987, 1991) e assessore comunale (dal 1981 al 1993 e dal 2007 al 2009), deputato nazionale del Pci-Pds dal 1987 al 1994, da anni si dedica a ricerche storiche su Vittoria ed il suo territorio, sulla base di una grande massa di documenti inediti provenienti dall'Archivio di Stato di Palermo, dall'Archivio di Stato di Ragusa, dall'Archivio Storico di Vittoria (e anche dall'Archivo General de Simancas, Spagna). Ha cominciato a pubblicare a stampa nel 1990 e dal 2012 sulla piattaforma kdp di amazon.it. Gli e-book digitali sono on line su kindle store.