Introduzione

Continuando a scrivere su fb articoli su articoli (sperando che qualcuno abbia l’idea di una storia diversa di Vittoria, basata su documenti in gran parte inediti e non su sciocchezze), mi sembra opportuno pubblicarli in volumi. Ovviamente non a stampa, ma sotto forma di e-book. Onestamente non so se resisteranno di più rispetto ai volumi stampati, ma ho scritto così tante cose che non potrei mai stamparle. Tra esse è pronta una monumentale storia del vigneto vittoriese, che debbo solo rivedere). Inoltre una storia dei conti di Modica (anch’essa già stesa e da rivedere), mentre ho in corso la trascrizione del rivelo del 1811-16 (carte provenienti dall’Archivio di Stato di Palermo) e di una scelta antologica di documenti inediti dell’Archivo General de Simancas (Valladolid, Spagna) relativi alla corrispondenza del viceré Juan Francisco Pacheco duca d’Uzeda con la Corte di Madrid in merito alla catastrofe sismica del gennaio 1693. Il mio obiettivo però è quello di riuscire a scrivere un manuale di storia di Vittoria, cominciato tante volte ma poi lasciato di lato.

Spero che la futura Amministrazione, quando sarà eletta, abbia per la memoria storica di Vittoria una nuova attenzione, mettendola al centro di un programma scolastico integrativo per conoscere la  storia della Città e del suo territorio, nell’ambito di quella generale della Sicilia, che serva a creare una diversa coscienza di comunità.

Come si può vedere dall’indice, oltre a ricordare il terremoto del 1693 in apertura e chiusura del volume, gli articoli ricostruiscono le tracce delle epidemie che flagellarono la nostra comunità dal Seicento al Novecento, alla luce anche dell’attuale pandemia. Non mancano ovviamente le considerazioni sullo stato della storiografia su Vittoria, con il ricordo anche delle vicende del 1860, di cui l’anno scorso è caduto il 160° anniversario dello sbarco di Garibaldi ed il 150° della presa di Roma. Qualche articolo poi è stato dettato dalle consuete polemiche sulle vicende politiche della città, ancora commissariata in violazione delle stesse leggi sullo scioglimento dei Comuni infiltrati dalla mafia. Infine, qualche divagazione su come nacque il nome “strat‘a lumi” ed un ricordo del senatore Rosario cancellieri nel 125° anniversario della morte, avvenuta l’11 gennaio 1896 e di cui ormai dovrebbe essere pronta la stampa dei due volumi che lo riguardano. Insomma…

Ecco l’indice:

1.Nel 327° anniversario di una catastrofe

2.Epidemie a Vittoria tra Sei e Settecento.

3.Epidemie a Vittoria: dalla “spagnola” (1918-19) a ritroso nel tempo. Le tre ondate di colera del XIX secolo

4.Il primo colera a Vittoria (1837)

5.Il secondo colera a Vittoria (1854-1855)

6.Il terzo colera a Vittoria (1867)

7.Altre epidemie a Vittoria: dal vajolo all’influenza (1873-1896)

8.Covid e “Spagnola”

9.Considerazioni sulla storia di Vittoria.Per un Museo della Storia di Vittoria e del suo territorio.

9a.Sul presunto quadro di Vittoria Colonna

9b.Sul mio lavoro di ricerca

9c.Per un Museo della Storia di Vittoria e del suo territorio

9d.Considerazioni finali

10. 21 maggio 1860-21 maggio 2020. Per non dimenticare/1

11. 21 maggio 1860-21 maggio 2020. Per non dimenticare/2

12. 21 maggio 1860-21 maggio 2020. Per non dimenticare/3

13.Interludio I. Il 20 Settembre 1870: da Lorenzo Cavallo a Rosario Cancellieri

14.Interludio II. 20 Settembre 1870-20 Settembre 2020. La via XX Settembre dalle Celle a Terrepupi

15.Vittoria, “La Sicilia” e Sciascia    

16.Come fu celebrata a Vittoria la sconfitta di Napoleone: la nascita della “strat’a lumi”.

17.Un antico 13 dicembre: l’istituzione a Vittoria del servizio di vaccinazione antivajolo

18.Per ricordare il 328° anniversario della catastrofe sismica del 1693

19.Rosario Cancellieri a 125 anni dalla morte.     

Ed ecco un estratto del volume

17.Un antico 13 dicembre: l’istituzione a Vittoria del servizio di vaccinazione antivajolo

Oggi, 13 dicembre, non parlerò né di Santa Lucia né di “vampanigghi” né di “cuccìa”, ma di vaccini ma non del vaccino per il covid. Dirà qualcuno: “ma che c’entra?”. C’entra, c’entra…Tra le deliberazioni del periodo costituzionale (1813-1816) spicca infatti un atto che oggi -periodo in cui di nuovo si parla di vaccinazioni di massa- acquista un valore di interessante documento storico, anche perché dà a Vittoria un piccolo primato (ovviamente anche in altre città della Contea sarà accaduta la stessa cosa, ma ad oggi non se ne ha traccia, a meno che qualcuno degli studiosi delle altre città della provincia non mi smentisca).

Come dicevo, tra le numerose deliberazioni del Consiglio Civico di Vittoria, dove si parla principalmente di bilanci, mete sui prezzi, lavori pubblici etc. etc., proprio ieri ne ho trascritto una dove si parla nientedimeno che dell’istituzione a Vittoria del primo servizio di vaccinazione, appunto il 13 dicembre 1815, la bellezza di 205 anni fa! Il Consiglio quel giorno -doveva essere domenica- si riunì «nella solita sede» che probabilmente era la Cancelleria (ma il primo piano era rustico), cioè l’attuale palazzo Rio-Mastragostino in via Bixio ang. Garibaldi, dopo che dal 1787 al 1813 la sede era stata l’Oratorio di San Giovanni e nel 1814 «la Gran Sala dei Padri Osservanti» ed anche «la Gran Sala del Teatro», cosa che ci testimonia già all’epoca la creazione del teatro. Presieduto dal Capitano di Giustizia/Presidente del Consiglio Civico, don Francesco Leni barone di Spadafora, si discusse di «un interessantissimo affare che riguarda la vaccinazione di tutti i fanciulli di questo Comune, come con tanta inergia [sic] dal Nostro Amabilissimo Sovrano ne’ tempi andati è stato per tutto il Regno comunicato il Real Dispaccio per effettuarsi tale vaccinazione, ed in vantaggio dell’Umanità, e degli stessi Comuni…». Pertanto «il Conseglio, avendo in considerazione tanto i Reali comandi, quanto il vantaggio della nostra Patria, ha risolto eliggere per questo Comune per vaccinatore il dr. don Michiele Benvissuto, dovendo Egli assumere l’impegno di vaccinare d’oggi innanzi qualunque siasi fanciullo che allo stesso si presenterà col vero vaccino».

Per ogni vaccinato maschio o femmina, al dottore sarebbero stati pagati grana 10 dai Giurati [, su attestazione della buona riuscita dell’”innesto” da parte del dr. don Mario Di Pasquale, presso il quale il vaccinato doveva recarsi. Per questo servizio, allo stesso Di Pasquale sarebbero state erogate due onze l’anno. Benvissuto era tenuto ad avere sempre pronto il vaccino e nel caso non fosse stato diligente in questo, sarebbe stato sostituito. Infine, «il Conseglio ha risolto per le fatighe adoprate ne’ tempi andati da esso dr. di Benvissuto per la vaccinazione effettuata in persona di non puochi individui…assegnar[gli] per una sola volta onze otto, incaricando i Sig.ri Giurati di pagare allo stesso essa somma, con riportare l’apoca [ricevuta] per aversene conto nella di loro Amministrazione». Quest’ultima precisazione ci informa che il dr. don Michele Benvissuto, anch’egli consigliere civico, si era adoperato già in tempi precedenti ad inoculare il vaccino anti vajolo.

La terribile malattia aveva infierito in Sicilia nel biennio 1759-60 e 1780-81 ma per Vittoria non abbiamo notizie precise. Però il secondo cinquantennio del Settecento dovette essere terribile. Ne è prova la stasi nella crescita demografica della città, che dopo il quasi raddoppio del trentennio 1714-1748, quando era passata da 5669 ad oltre 9.000 abitanti, dal 1748 al 1800 risulta drammaticamente stabile intorno ai 10.000 abitanti. Tale stasi era però frutto di terribili “prelievi”. Nel cinquantennio  1749-1799, la media annua delle nascite fu di 433 unità; quella dei matrimoni 96; quella dei decessi di 400 l’anno. Nonostante il buon numero di nascite, gli anni più terribili per mortalità furono il 1754 (533), il biennio 1764 (525) e 1765 (586), il 1770 (530), il 1775 (560), il biennio 1784 (676) e 1785 (670), il 1793 (521) ed infine il 1796 (621). Neanche per questi picchi di mortalità conosciamo le cause ad oggi. Della carestia del 1763, che provocò migliaia di morti nella Contea, abbiamo una traccia indiretta nell’opera di La Cetra, che accenna al fatto che proprio in quell’anno si sarebbe trasferito a Vittoria, chiamato dall’arciprete Ricca per insegnare nella sua scuola e che qui non avrebbe sofferto fame. La deliberazione vittoriese del 13 dicembre 1815 sarebbe però l’ennesima prova di quello che la prof.ssa Amelia Crisantino definisce il primato della Sicilia nella campagna di vaccinazione contro il vajolo. In un suo articolo del marzo 2019 infatti la studiosa, partendo dalle polemiche di quei mesi promosse dai cosiddetti “no-vax” scriveva che «La polemica sull’obbligo della vaccinazione ha riportato l’attenzione su una pratica a lungo controversa, che si afferma in mezzo agli anatemi papali: è Leone XII a tuonare che affidando la propria vita alla vaccinazione si cessava d’essere figli di Dio e si sfidava il Cielo. Per fortuna qualcuno la pensava diversamente. E nella Sicilia di inizio ‘800, che facilmente immaginiamo retrograda, avviene la prima vaccinazione di massa della storia italiana ad opera di sovrani spesso sorprendenti come Ferdinando Borbone e Maria Carolina. Siamo nella primavera dell’anno di grazia 1801, è il 14 marzo quando con un vascello della Royal Navy arriva a Palermo il dottor Joseph Andrew Marshall: nemmeno in Inghilterra sono tutti d’accordo, ma ha comunque l’incarico di vaccinare contro il vaiolo le truppe inglesi stanziate in Sicilia. Una missione impegnativa. A Palermo il vaiolo sembrava proprio un castigo divino, aveva da poco provocato migliaia di morti. Ottomila scrivono le fonti. I sovrani erano a favore della vaccinazione, avevano perduto dei figli nelle ricorrenti epidemie ed erano decisi a cercare di bloccare il contagio. Lo stesso re s’era sottoposto a una pratica non troppo sicura chiamata “inoculazione”: dalle croste di un ragazzo affetto da vaiolo in forma benigna si prelevava una piccola quantità di pus, col quale si infettavano dei graffi provocati sul braccio della persona da immunizzare. Da quel 1778 in cui il re s’era fatto “variolizzare” erano passati più di vent’anni e nel 1796 Edward Jenner aveva scoperto che l’inoculazione diveniva più sicura usando il più blando pus del vaiolo vaccino: era nata la vaccinazione».

Marshall era un allievo di Jenner (nella foto1) e dopo aver sperimentato con nuova riuscita il vaccino su tre marinai, i Sovrani -allora la Corte era ancora a Palermo- gli chiesero di procedere alla vaccinazione di massa. Nella relazione presentata alla londinese Camera dei Comuni il 30 marzo 1802, è lo stesso dottor Marshall a riferire come venne organizzata. L’ex seminario dei Gesuiti, l’odierna Biblioteca Regionale, fu trasformato in Istituto di vaccinazione jenneriana e, nelle parole di Marshall riferite dalla Crisantino, apprendiamo che «non è inconsueto assistere, nel corso delle mattinate dedicate alla vaccinazione pubblica, a processioni di uomini, donne e bambini guidati lungo le strade da un prete che porta un crocifisso per accompagnarli alla seduta». A dispetto dello stesso pontefice, i preti che vivevano in mezzo al popolo erano per la vaccinazione e la loro opera  assicurò il successo di tutta l’operazione. Fu messa in piedi un’organizzazione che coinvolgeva anche i medici delle altre città, a loro venne ordinato far vaccinare i tanti orfani e trovatelli delle loro giurisdizioni: un “pubblico inoculatore” avrebbe compiuto tutte le operazioni sotto i loro occhi, e si formava così un buon numero di medici esperti nella pratica della vaccinazione. Si puntava a vaccinare soprattutto bambini, che erano i primi a essere colpiti dalla malattia e nei rari casi in cui riuscivano a sopravvivere rimanevano ciechi o deformi. Inoltre l’operazione “da braccio a braccio” non era esente da rischi, il pericolo era che si trasmettessero anche altre malattie come la sifilide. Quindi i bambini meglio se piccolissimi, e nella diffusione della pratica fu essenziale la collaborazione delle levatrici che, avendo la fiducia delle mamme, anche a distanza di tempo dal parto riuscivano a convincerle a far vaccinare i loro bambini».

In meno di un anno il dottor Marshall -supportato dal sistema sanitario borbonico- riuscì a vaccinare oltre diecimila bambini (nella foto2). Una volta partito il medico inglese si continuò a lavorare con la guida del medico di corte Michele Troja, che a poco a poco mise in piedi un buon sistema, per l’epoca. Nel 1812 il Governo dispose che la Deputazione generale de’ projetti, che s’occupava dei tanti bambini abbandonati ed era un organo centralizzato, sorvegliasse le vaccinazioni nei Comuni; si dispose inoltre che nelle Università di Palermo e Catania non ci si potesse laureare in medicina se non si dimostrava di «essere appieno versati nello esercizio pratico dell’innesto». Infine, nel 1818 venne creata a Palermo una Commissione centrale di vaccinazione, nelle altre città c’erano le Commissioni provinciali. Onestamente ignoriamo i risultati di tali disposizioni. Allora come oggi, fortissime erano le resistenze (gli stupidi e gli ignoranti non mancano mai purtroppo…) ed ancora nel 1879 -a ben 18 anni dall’Unità- il sindaco Rosario Cancellieri fu costretto ad usare bruschi sistemi per obbligare le famiglie a vaccinare soprattutto i bambini, arrivando a  volte a minacciare di non celebrare matrimoni se gli sposi non risultassero vaccinati e di negare il rilascio di determinate certificazioni se i padri di famiglia non avessero provveduto a far vaccinare i figli.

In ogni caso, quel 13 dicembre 1815 merita di essere ricordato. Ed ancora una volta, come in molte altre occasioni, Vittoria fu all’avanguardia, o almeno così appare, in mancanza di notizie relative agli altri.

18.Per ricordare il 328° anniversario della catastrofe sismica del 1693

Riservandomi di pubblicare in maniera organica un’antologia delle relazioni e della corrispondenza tra il duca di Uzeda e la Corte di Madrid in merito alla catastrofe sisima del 1683, dalla terza relazione inviata da Palermo il 14 maggio 1693 (elaborata probabilmente sui dati forniti dal duca di Camastra, estraggo le notizie relative alla Contea di Modica:

«Comiso. E’ caduta la Chiesa, la metà della collegiata, e il resto è assai malconcio. 5.305 abitanti, 269 morti [5,07%].

Chiaramonte. E’ rimasta distrutta e tra l’altro due monasteri, tre conventi, mentre la chiesa, il castello e alcune case basse sono rimasti in piedi. 4.830 abitanti, 303 morti [6,27%].

Giarratana. E’ tutta distrutta, con la chiesa principale e la maggior parte del castello. 2.981 abitanti, 541 morti [18,14%].

Monterosso. Questo paese è a terra sin dalle fondamenta. 2.340 abitanti, 232 morti [9,91%].

Modica. Si suppone sia rimasta in piedi la quarta parte, tutto il resto è rovine. 18.203 abitanti, 3.400 morti [18,67%]

Ragusa. Si dice sia rimasta in piedi la terza parte, e questa stessa alquanto maltrattata. 9.946 abitanti, 5.045 morti [50,72%].

Scicli. E’ tutta rovine con parrocchia, chiese e conventi, in piedi alcune case inabitabili. 9.382 abitanti, 2.000 morti [21,31%].

Santa Croce. Non ha subito danni considerevoli. 980 abitanti, nessun morto.

Spaccaforno. Non si conosce in maniera precisa il danno alle fabbriche. 7.987 abitanti, 2.200 morti [27,54%]

Vittoria. Ha subito danni nelle case, cadde[ro] una chiesa e due conventi. 3950 abitanti, 28 morti [0,007%]».

Stranamente la relazione ignora Biscari, che secondo il Baratta ebbe 200 morti su 1.108 abitanti.

Quindi la Contea di Modica su 67.012 abitanti avrebbe avuto 14.018 morti, pari al 21% circa degli abitanti ed al 23% del numero complessivo delle vittime, valutate in seguito in maniera credibile intorno a 60.000. Ma all’interno di questa media, c’è la cifra di Vittoria, pari a 0,007% della popolazione (7 morti ogni 1000 ab.) e l’immenso lutto di Ragusa, con il 50,72% dei morti, seconda soltanto alla sventurata Catania che ebbe più del 65% dei morti.

Oltre al gran numero di morti, nella Contea di Modica si verificarono notevoli sconvolgimenti nel territorio. Secondo il protomedico Domenico Bottone, numerose altre scosse violente continuarono a colpirla, dopo quelle di gennaio, il 27 febbraio, il 31 marzo, il 17 aprile, il 9 maggio. Il 31 maggio «al primo albeggiare, una violenta scossa di terremoto, raso al suolo ciò che era rimasto degli edifici, infierì sugli abbattuti superstiti: ora sembrava che il corso dell’Iliade delle calamità si interrompesse e l’animo ritornava nel porto dell’agognata serenità, ora incrudelendo i tuoni, saettando i fulmini, raddoppiandosi le raffiche dei venti, strappate le querce dalle solide e antiche radici, sembrava che li colpisse ogni genere di sciagura». Ma per gli abitanti della Contea, lo spavento non finì presto. Infatti, «apertasi la terra, e rotti i canali sotterranei delle acque, nei pressi del fiume di Ragusa si formarono stagni, dove una gran massa di terra, sradicati grossi alberi, franò lungo il pendio sottostante, e lì si formò un lago così profondo da sostenere persino le barche. Sul colle di San Teodoro, si aprì una voragine di grande profondità e lungo tutta la superficie si notarono numerose spaccature, da cui spirava odore di zolfo, che fu avvertito fino a Siracusa. Tra Ferla e Cassaro, due colline, in mezzo alle quali scorreva un fiume, sprofondarono «in un batter d’occhi» e la piana così formatasi «riempitasi per le acque che sgorgavano formò in breve tempo una profonda palude navigabile di circa 256 passi». Questo fatto, dice Bottone, «più della rovina degli edifici in tanti luoghi del Val di Noto fu di terrore per gli abitanti», ai quali probabilmente ricordò l’Apocalisse («e i monti si dileguarono…»).

Se la terra si apriva e inghiottiva persone e animali (numerose sono le testimonianze), anche il mare aveva fatto la sua parte. Secondo Silvio Bocconi (botanico, medico studioso dello “scanto” e dei suoi effetti sul corpo), dopo il terremoto della domenica, molti naviganti avevano sentito «una specie di pulsazione dal fondo del mare», e lungo tutta la costa orientale, da Messina a Catania, ad Augusta e Siracusa, si osservarono due ondate di maremoto. «Doppo il primo ritiramento, e ritorno, o riflusso delle acque, che venne più del solito gonfio, fu osservato immediatamente il secondo ritiramento, e ritorno del riflusso, quindi è che viddero scoperto il fondo del lito del mare due volte, per il ritiramento straordinario delle acque di 25 a 30 passi geometrici da esso lito, ed altrettante volte riempiuto il letto della spiaggia, ed all’hora le acque alzaronsi più dell’ordinario livello quasi otto piedi geometrici».

E ancora: «nella spiaggia di Mascari [Mascali] l’inondazione del riflusso delle acque nell’atto del terremoto della domenica s’inoltrò sino ad un miglio dentro terra», mentre «in quella spiaggia di mare di Tauromina, detta li Giardini, le acque del mare si ritirarono mezzo miglio…». Di

fronte a Siracusa, persino «i pesci da pescare» mancarono «alle poste solite», e «ove i pescatori erano accostumati di calare le loro reti in profondità di quindici passi di fune, in quei primi quindici giorni doppo il terremoto, bastava loro solamente cinque passi di fune alla pescagione». Sconvolti i fondali del mare, «li Catanesi in questa inondazione d’acque del mare furono sopraffatti da un novo timore, e da una nuova costernazione, vedendo irata la terra, ed il mare a loro danno; attesoche le acque entrorono dentro la Città, e penetrarono nella piazza di San Filippo, e le massarie, ed i poderi tutti furono inondati attorno alla città».

Da queste immani sofferenze nacque il barocco che oggi tanto ci inorgoglisce…

Nonostante all’epoca non ci fossero né tv né telefoni né internet, si sparsero lo stesso quelle che oggi chiamiamo fake news, tra le quali una falsa profezia attribuita al Venerabile Beda (un monaco inglese vissuto tra il 673 ed il 735) e messa in giro forse con intenti antispagnoli da alcuni gesuiti, secondo la quale l’Etna stava per sprofondare e con essa nel 1693 sarebbe sprofondata tutta la Sicilia.

In quei mesi germogliarono e man mano si diffusero numerose storie di fatti raccapriccianti (una donna che ad Acireale era sopravvissuta cibandosi della carne dei cadaveri) o altri confluiti poi in alcune delle numerose pubblicazioni che parlarono del terremoto (Boccone, Bottoni, Mongitore, Le Favi etc. etc.) e poi ancora in numerose poesie orali raccolte in anni recenti da studiosi del folklore. Tra esse riporto quelle relative alla Contea.

«Nella città di Scichli una Fanciulla di anni undici, educanda dentro il Munistero, rimase sotto le rovine senza mangiare per lo spazio di dieci giorni: disse d’havere tenuto in bocca un pezzetto d’Habito della Madonna del Carmine: uscì di sotto le pietre un poco insensata, ma di presente viva sana, e salva…».

Ed ancora: «Nella Città di Ragusa…cinque Sacerdoti, e due Chierici vissero senza cibo alcuno per sette giorni sotto le pietre della loro chiesa demolita, e non ebbero altro rinfresco, che tenere…vicenda in bocca, e lecare il manico di ferro dell’asperges: Uno di essi uscì pazzo: furono nel disseppellirli discretamente ristorati, facendo il medico loro lambire di tempo in tempo un poco d’acqua, e vino temperato, e vennero salvati nella seguente maniera: il prete don Matteo Scrofano curato di questa chiesa, ed uno dei cinque sacerdoti sopranotati, conghietturando, che non fosse sopra la volta gran macerie di sassi, s’avvisò di congiungere tre canne, quali essendo state a forza fatte penetrare per le fissure delle soprastanti rovine, ed aggitate dalla parte de’ prigionieri, fecero indi conoscere per mezzo di esse canne alla gente di fuori, ed ai popoli, che sotto quelle rovine fossero persone intercluse, sopra il quale segno, furono poi ricercate, disseppellite, e salvate».

Per quanto riguarda Vittoria, le leggende nacquero intorno al ruolo del Santo Patrono, e confluirono poi -grazie al racconto dell’arciprete don Errico Ricca- nell’opera del sac. Giovanni Palumbo sul Santo Precursore, pubblicata nel 1744. Ripubblico il testo:

«18.Ma singolarissima è la protezione del Santo per li terremoti; giacchè nel 1693 mantenne in piedi questa Città, quando tutte l’altre della Contea, e del Val di Noto restarono quasi tutte destrutte: e volle il Santo evidentemente manifestare, che egli fu, che con la sua protezione appo l’Altissimo la sostenne; poiché ricercandosi dalli Paesani a qual Santo avrebbero dovuto rendere le grazie per la singolare liberazione di quel terribile terremoto, che cagionò tanta desolazione nell’altre Città, e Terre: posero in un bussolo li nomi di tutti i Santi, e Sante, che si venerano in cotesta Città, ed a sorte per mano d’un figliuolo si cavò la poliza, che per tre volte successivamente uscì quella del glorioso Patrono S. Giambattista; e perciò dal Popolo con particolar divozione è riconosciuto per Liberatore di quel flagello divino, ed a 11 Gennajo d’ogni anno si fa la processione, e si venera quel giorno come festivo» (in verità fu Uzeda ad ordinare solenni processioni con reliquie e statue dei Santi Patroni nel primo anniversario del terremoto, quando si era sparsa la voce di una ripetizione del sisma). Ma leggiamo ancora Palumbo:

«19.Nel detto terremoto il Santo Patrono S. Giovanni volle come Mallevadore sostenere le Case de’ Cittadini, e far rovinare la sua Chiesa solamente, nella quale, oltre di pochi figliuoli innocenti morti sotto le rovine, che si ritrovavano per insegnarsi la Dottrina Cristiana, non morì altra persona, anzi una Donzella d’età nubile mirabilmente si ritrovò viva, caduta in una sepoltura, ed un’altra persona, che sonava la Campana, si ritrovò cavalcata sopra la stessa Campana, che dal Campanile cadde in terra senza lesione di chi stava attualmente sonando» [ecco l’origine della notizie dei pochi innocenti che sarebbero morti sotto le macerie, che La China fece poi ascendere a 40, numero complessivo dei morti che troviamo nei documenti del novembre 1697 con cui si autorizzò la fondazione del convento dei Cappuccini a Vittoria]. E ancora:

«20.Fu ammirato quello accadette alla statua del glorioso Santo, che attualmente si venera, e fu, che essendo detta statua di legno, e cadendo sotto le rovine delle fabbriche, si ritrovò illesa, e solamente la testa totalmente recisa dal busto, come troncata da tagliente mannaja; ed allora tutti concepirono con sentimento di gratitudine, che il Santo come mallevadore offerì e Chiesa, e Capo all’Altissimo per liberare la sua amata Vittoria» [questo fatto sarebbe stato confermato recentemente dalla tac eseguita alla statua].

Ed infine: «17… Il gloriosissimo Precursore di Cristo mostra di questa Città una speciale affezione, soccorrendola in tutte le necessità, e specialmente nella mancanza delle pioggie; più volte sperimentandosi, che girandosi in processione la di lui Statua, prima di ritornare in Chiesa è già venuta la pioggia. Si dimostra pure assai parziale nel guarire li fanciulli dalle crepature in tutti i tempi, ma in ispezialità qualor si fa la Processione colla di lui Statua alli 11 di Gennajo per memoria del terremoto del 1693 e nelli detti 24 Giugno ogn’anno. Si suole dalli Cittadini porre i figliuoli sopra la Bara del Santo, e giunti nella prima Chiesa filiale di S. Vito si osservano da’ Medici li figliuoli, e si trovano tre, o quattro già guariti. Poscia si prosiegue la processione, e giunti nell’altra Chiesa filiale di S. Giuseppe, si osservano di nuovo li figliuoli, e se ne trovano altri tre, o quattro guariti. Indi si prosiegue la processione nella Chiesa di Nostra Signora delle Grazie, ed osservati come prima li figliuoli, si ritrovano altri quattro, o cinque guariti: e ritornata finalmente la processione nella Venerabile sua Chiesa Parrocchiale, si osservano delli remasti o tutti, o alcuni guariti, e per lo più o nessuno, o pochissimi restano non totalmente guariti».

Come si vede, nel corso dei decenni seguenti, la devozione al Santo si basò anche su altri bisogni: non solo la salvezza dal terremoto (comune anche a numerosi altri Santi Patroni in altri paesi e città) ma anche la pioggia e le guarigioni miracolose di bambini, in tempi in cui non si conoscevano cure efficaci né tantomeno vaccini. Insomma la storia genera leggende e spesso dalle leggende si risale alla storia. Il problema è non credere alle leggende senza risalire alla storia…

Paolo Monello

Nato a Vittoria nel 1953, già sindaco (1984-1987, 1991) e assessore comunale (dal 1981 al 1993 e dal 2007 al 2009), deputato nazionale del Pci-Pds dal 1987 al 1994, da anni si dedica a ricerche storiche su Vittoria ed il suo territorio, sulla base di una grande massa di documenti inediti provenienti dall'Archivio di Stato di Palermo, dall'Archivio di Stato di Ragusa, dall'Archivio Storico di Vittoria (e anche dall'Archivo General de Simancas, Spagna). Ha cominciato a pubblicare a stampa nel 1990 e dal 2012 sulla piattaforma kdp di amazon.it. Gli e-book digitali sono on line su kindle store.