Premessa
Sperando di fare cosa gradita per i miei eventuali lettori, raccolgo in un unico testo gli articoli da me pubblicati su facebook dal gennaio al marzo di quest’anno, prima che fossimo costretti agli “arresti domiciliari”. Riservandomi di pubblicare successivamente gli articoli scritti durante la quarantena, presento l’indice di questo testo:
1.Le “Effemeridi” di Orazio Busacca
2.Cose d’altri tempi. Un delitto d’onore nella Vittoria del luglio 1892
3.Danni atmosferici d’altri tempi/1
4.Danni atmosferici
d’altri tempi/2
5.Danni atmosferici d’altri tempi/3
6.Considerazioni di un
testardo amico della verità. Su un libro che dice falsità e sull’errata ora del
terremoto del 1693
7.Su un volume di
storia del vigneto
8.Il vigneto ed i
carretti a Vittoria
1.Le “Effemeridi” di Orazio Busacca.
Tra i Vittoriesi del passato, mi piace scrivere di Orazio Busacca, un massaro vittoriese nato nel 1819 e morto nel 1896. Anche se è quasi sconosciuto, noi Vittoriesi dobbiamo essergli grati per il suo scrupoloso e quasi quotidiano annotare e per i suoi diari da lui stesso intitolati “Effemeridi”, cioè appunto “note quotidiane”. Pochi sanno infatti che quest’uomo, dal 1850 al 1896 (fino a poco prima di morire) annotò quasi giorno per giorno che tempo faceva (sole, pioggia, venti, temperature, gelo, neve); l’andamento dei prezzi dei generi di prima necessità (vino, olio, frumento, orzo, carni, pesci etc. etc.); i salari di braccianti ed operai. Testimone degli eventi che realizzarono l’Unità d’Italia (fu entusiasta ammiratore di Garibaldi), annotò fatti politici e di costume, il terrore scatenato dalle grandi epidemie di colera a Vittoria nel 1837, nel 1854-55, nel 1867, eruzioni dell’Etna e terremoti. Fu amicissimo e sostenitore di Rosario Cancellieri, di cui esaltò l’attività amministrativa come sindaco dal 1879 al 1882 e ne seguì il lavoro parlamentare, l’impegno assiduo per la costruzione della ferrovia Siracusa-Licata, le vittorie e le sconfitte inflittegli dal clan Jacono. Ma Busacca fu soprattutto il cantore dell'”epoca d’oro” della città di Vittoria, regina assoluta del vigneto siciliano dal 1856 al 1886, una città di cui descrisse l’ascesa (Vittoria infatti in quel trentennio attirava lavoratori da ogni parte della Sicilia) e la caduta -dopo il 1887- a causa della fillossera e della peronospora delle viti, con il suo precipitare nell’abisso, con migliaia di fallimenti, oltre duemila case sequestrate ed anche suicidi per debiti. Come sappiamo, la città poi si riprese, grazie al reinnesto dei vigneti con viti americane, la distillazione e soprattutto con la diversificazione delle colture, affiancando ai vigneti gli agrumeti e le prime coltivazioni di pomodoro a campo aperto, che aprirono la strada ad un altrettanto ricco futuro negli anni ’30, con le primizie orticole.
L’opera quotidiana di questo massaro, che scriveva in un italiano stentato, merita di essere conosciuta integralmente. Brani delle sue “Effemeridi” furono utilizzati dall’avv. Gianni Ferraro nella sua “Storia di Vittoria”, mentre i nipoti Mangione-Busacca ne pubblicarono estratti nel 1998 in una pubblicazione stampata dalla Provincia Regionale. Possedendone in copia l’integrale, da essa trarrò man mano notizie e dati. Le Effemeridi di Orazio Busacca sono una immensa miniera di notizie. Non si potrebbe scrivere la storia di Vittoria nella seconda metà dell’Ottocento senza conoscere Busacca.
2.Cose d’altri tempi. Un delitto d’onore nella Vittoria del luglio 1892.
«Una vergine tradita uccide giustamente il seduttore. La sera del primo Luglio, Giovannina Randazzo intesa Peluzzo, la quale era stata sedotta da un giovine, certo Carmelo Archisi, ambedue di condizione borgesi (massari), la Randazzo gli scaricò un colpo di rivoltella che gli cagionò la morte dopo strazianti dolori per ore venti. La ragazza vergine ed onesta fu lusingata dal detto Archisi all’ombra della falsa promessa di matrimonio, [e] dopo anni 4 circa di lusinghe e 4 volte madre, per istigazione della madre e parenti di Archisi la ragazza si vidde abandonata nel mentre che portava in seno il frutto del suo seduttore. Prima della disperata risoluzione la ragazza andò ad incontrarlo nel mentre che si avviava in una nuova mantenuta, lo pregò lo scongiurò con caldissime e commoventi lagrime per più di un’ora, finalmente il giovine seduttore [le] rispose risolutamente di non poterla sposare e neppure mantenere; a tale definitiva risposta la giovine munita di rivoltella (proprietà dello stesso Archisi) gliela scaricò a bruciapelo!». Così nel suo diario scrive Orazio Busacca. Il quale aggiunge:
«E’ giusto notare che la ragazza aveva preso il volo nella età di anni 18 all’insaputa de’ suoi genitori, e che questi dopo di essere stata abandonata la disprezzavano con rampogne. Valga di esempio ad ogni fanciulla, a non lasciarsi abbagliare da falsi promesse, e molto meno all’insaputa de’ genitori. E del pari ad ogni gíovine, a ben riflettere prima di tradire una ragazza, se può o no adempiere alla promessa verso una ragazza onesta. La Randazzo andò volontariamente a consegnarsi in carcere immediatamente alla morte del suo seduttore. Fu applaudita dal publico lì felice!».
E’ facile immaginare la scena di questa giovane che lungo la via Cavour va a consegnarsi in carcere, applaudita da due ali di folla festanti…
Ma come finì la cosa? E’ lo stesso Busacca che ce lo dice, nelle note del marzo 1893, dove leggiamo:
«Sentenza di vera giustizia a favore di quella vergine tradita, Giovannina Randazzo intesa Piluzzo, che aveva ucciso il suo seduttore dopo di averla abbandonata e derisa. [La Corte di Assise] da Siracusa la pose in libertà con sentenza del giorno 3, e condannò a favore della Randazzo a’ danni morali da ripeterle sopra i beni del defunto Archisi. Appena fu messa in libertà un popolo plaudente e gran parte de’ Giurati l’accompagnarono con gli “Evviva!” sino all’albergo – II giorno 10 ritornò in Vittoria lieta e contenta in mezzo ai suoi genitori. Evviva la Giustizia!».
Sembra incredibile, eppure, così andavano le cose alla fine del XIX secolo…
3.Danni atmosferici d’altri tempi/1
Non c’è dubbio che il riscaldamento globale stia facendo impazzire il clima. Ma sarebbe sbagliato pensare che tali fenomeni estremi nel passato non accadessero. A questo proposito mi sembra utile pubblicare un estratto della cronaca del nostro concittadino Orazio Busacca, che dopo aver descritto “l’Urogano” (tromba d’aria) che il 4 dicembre 1855 aveva devastato le contrade «Berdia del Marchese Ferreri…Capreria [parte della Scaletta], Pozzo Ribaldo, Rinelli, Dragonara, Cotelli…Capraro, S. Bartolo, Banbolieri, Forcone, Rinazzi di Strada…atterrando oliveti ed alberi di ogni genere e casamenti ancora» (con ingentissimi danni, calcolati in 20.000 onze, pari oggi ad oltre 1 milione di euro), così ci descrive ciò che accadde agli inizi del 1859.
«La notte del 10 a 11 Gennaro commemorazione del nostro Patrono S. G.nni Battista successe quel memorando urogano che nel solo porto di Catania affondò num. 13 bastimenti, e in tutta l’isola poj altri num. 32, che in tutto a secondo delle notizie attinte ne andarono perduti 45 ed una buona parte degli equipaggi e mercanzie.
Prima di ciò o sia tale avvenimento, cominciò il giorno 9 e 10 a piovere dirottamente ed in continuazione; sconvolgimento di aria, venti impetuosissimi (Gregale). La neve che cadde in queì giorni faceva spavento a tutti gli abitanti di Chiaramonte, Palazzolo, Vizzini e in tanti altri comuni e contrade delle montagne. Era tanta estraordinaria la quantità della neve che si ammassava sulle tegole, e moltissimi tetti sfondarono non potendo sostenerne il peso e qualche famiglia si trovò sepolta di neve, e ciò in Chiaramonte e paesi attorno. Centinaja di animali bovini e pecorini perirono in quella ricorrenza trovandosi chi morti per il freddo irresistibbile, e chi sepolti di neve; soltanto non vi fu tanto danno di uomini.
I danni e guasti cagionati per la dirotta e continuata pioggia unitamenti alla neve furono immensi, e particolarmenti nelle terre a pendio. La neve era talmente accatastata negli avvallamenti e in tutti i punti e luoghi in ove trovava rispallo, che sino a tutto Febbraro e gran parte del mese Marzo si conservò pietrificata, e noj abitanti da Vittoria guardavamo che biancheggiava sino alle coste di Cannicarao ed alle falde sopra Comiso. Le acque piovane uniti agli scoli della neve, formavano un’alluvione (nel fiume Ippari) simile a quella verificata nell’anno 1833 che restò memoranda: tutti i molini furono arenati e molestati, e quello che si era di peggio, era appunto che non gli si poteva dare ajuto perché la piena continuò per molti giorni a causa de’ scoli della sudetta neve. Intanto i molini non potevano molire i frumenti. Le farine mancarono a tutti gli abitanti perché il Sindaco ordinò che tutti coloro i quali se ne trovavano provvisti in più, venivano obligati, o forzati di vendere la parte superfula (sic!) a chi non aveva affatto, e perciò esposta tutta la popolazione al pericolo della fame. Ma il Sindaco del tempo don Francesco Astuto non solo, ma tanti altri proprietari, bisognarono ricorrere in Terranova ed in altri paesi per molire i frumenti, o comprare delle farine, e cosi riparare la minaccia della fame, che già nella povera gente si arrivò a gustare. Grado grado le piene rallentarono e i nostri molini furono riattivati, e tutto cessò. Il giorno 11 Gennaro 1859 restò memorando».
4.Danni
atmosferici d’altri tempi/2
Dopo la tromba marina del 4 dicembre 1855 e le
piogge e nevicate del gennaio 1859, lo stesso Orazio Busacca riferisce di una
immane gelata che bruciò i vigneti vittoriesi nell’aprile 1864, con temperature
scese fino a 7 gradi sotto zero.
Dopo un gennaio piovosissimo «…il giorno due
-scrive Busacca- si verificò una gran pioggia di grandine che
danneggiarono diverse contrade siti nel nostro territorio. La grossezza di ogni
grandine era da calia a nocciole, e pure sino alla grossezza di mandorle e
noce. Furono notati danni ne’ giardini principalmenti, carrubbe, e pure nelle
vigne si osservano le gemme acciecate».
Però dopo, sin dalla fine di febbraio e per
tutto marzo, venti caldi sollecitarono la vegetazione soprattutto delle viti,
che si trovarono in pieno rigoglio ai primi di aprile.
«Il giorno due (Sabato) -continua il cronista-
una denza brinata distrusse una quarta porzione di prodotto nelle vigne del
nostro territorio stanteché ancora le vigne non erano totalmente sbucciate, non
si fermò e non variò il ferale vento Occidentale, e segnatamente il Sabato del
nove [Aprile] la neve cadeva a falde o a lenzuoli, nelle montagne, sino alle
falde della montagna sopra Comiso si osservava ammassata a lunga distanza per
molti giorni.
La notte del 9 al 10 restò sgombra di nubbe e
perciò è facile il supporre il freddo glacciale di quella notte sino al segno
che i novelli getti de’ vigneti furono colpiti e indirízziti la stessa notte, e
appena uscito e riscaldato il sole tutti i vigneti sembravano aver subbito
l’impressione del fuoco e prima di finire la domenica del giorno 10 la bella e
ridente verdura de’ vigneti era divenuta una estesissima gramaglia nera:
chiunque si trovava nelle alture e osservava la vasta pianura del territorio di
Vittoria, quella di Comiso, Chiaramonte e Biscari, sembravale osservare una
vasta pianura di terre maggesate! E pure non bastò che quella fatale notte
aveva distrutto l’ottanta per cento della produzione vinicola, continuò e tornò
alla carica con magior ferocìa ne’ giorni di seguito, e senza interruzione sino
alla mattina del giorno quindici, in modo che il tutto di tutti fu incenerito!
Solamente con la generale sorpresa e meraviglia
che quasi suscitava un certo dispetto e direj gelosia, furono esentati e
restarono illesi pochissimi contrade siti vicini al mare, e segnalatamente le
vigne del Signor don Gaetano Mazza siti nelle Moggi e Dorilli, Lucarella vigne
del Signor don Emanuele Alessandrello, pochi partite nella contrada Caspanella,
e contrada Cervi, come pure altre piccole proprietà nelle contrade vicini al
mare, e le vigne in Pezzagrande siti nel tenere di Biscari…
Vale meglio cessare o tacere il descrivere lo
squallore e lo scoraggiamento generale che in quej giorni si denotava nella
faccia di ogni individuo di qualunque sesso e di qualunque ceto, e qualunque
descrizione poetica non potrebbe arrivare a descrivere il vero stato delle cose
di allora!!!» [la foto del paesaggio innevato è tratta dal volume di Giuseppe
Cultrera, “L’industria della neve. Neviere degli Iblei”, Utopia Edizioni 2000].
I danni si valutarono approssimativamente ad
onze trecentomila, pari a £. 3.825.000 dell’epoca, equivalenti oggi pressappoco
a circa 35 milioni di euro.
A Vittoria «paese eminentemente vinicolo, ma ben
pure in tutti gli altri paesi e provincie in cui si coltiva la vigna, tanto in
Sicilia che nel Napolitano…a causa della densità delle brinate o geli avvenuti
in questo disgraziato mese…venne incendiata e distrutta la grandissima parte
della produzione vinicola…Ogni proprietario vignajuolo dalla ricchezza o
commodità relativa passò alla miseria o quasi miseria, e per quenseguenza [sic]
la sofferenza de’ proprietaríi fu risentita generalmente da tutti gli abitanti,
perché venuto meno l’introjto al proprietario, venne meno la circolazione del
numerario, venne meno il lavoro ed ogni sorta di speculazione e industria e
portò con sé la fame patita nell’anno successivo 1865». Cose d’altri tempi. O
no?
5.Danni atmosferici d’altri tempi/3
Concludo queste brevi note su gravi episodi di maltempo nella seconda metà dell’Ottocento. Nelle vicende climatiche annotate dal 1850 al 1896, dopo la grande gelata del 1864, memorabili furono il 1890 e soprattutto il 1891, in un contesto di gravissima crisi per l’economia vinicola di Vittoria, già profondamente colpita dalla fillossera e da numerose altre malattie della vite.
Il 1890 fu anche il primo anno in cui Busacca registra la diffusione di una grave epidemia: l’influenza, che se fosse stata colera -dice- avrebbe massacrato migliaia di persone, ma fortunatamente era facilmente superabile. Non mancarono però alcuni casi di morte: da quell’anno, ogni inverno fu caratterizzato dall’epidemia, che nel gennaio 1896 fece una vittima illustre, colpendo il senatore Cancellieri.
Ancora una volta, nel 1890, fu il mese di aprile quello più terribile. Il 22 infatti (in piena primavera), il territorio di Vittoria fu colpito da un fortunale e da «una grande quantità di grandine…In contrada Rinelli -chiusa Bosco Moncada- furono fulminati 20 pecore che si erano rifuggiati sotto un albero di carrubbo. La grandine…caggionò danni notevoli a’ vigneti nella buona parte del nostro territorio, e se non fossero stati misti con la copiosità della pioggia con la grandine si avrebbe trattato di distruzione per le vigne. Il giorno 22 Aprile 90 volle lasciare un tale rigordo per parlare di sé…».
Ma ben più terribile fu l’inizio del 1891. Il mese di gennaio vide stendersi una coltre di neve e ghiaccio mai prima riscontrati nelle cronache giornalistiche di quei decenni su tutta l’Europa, dal Portogallo alla Russia (dove branchi di lupi attaccarono i villaggi per la fame). Temperature rigidissime anche nel Circondario di Modica. A Vittoria le temperature per tutto il mese oscillarono da zero a 5 gradi. Però, l’alba del 19 gennaio «…tutti gli abitanti di Vittoria la salutarono con estraordinaria sorpresa, nell’osservare una immenza coltre bianca che covertava tutta la superficie della nostra placa sino a non apparire più le tegole su i tetti del nostro comune.
Nessuno del viventi rigorda aver veduto da due a tre centimetri di neve stesa in tutta la superficie, neppure i vecchi novantenne, solo rigordono avere rare volte…di avere veduto cadere neve…e perciò da qui si deve arguire quale impressione ha lasciato maravigliosa nella mente di ognuno nell’osservare che ragazzi e giovini rotolavano la neve formandone grosse palle, come si suole pratticar in altri climi freddi, a cominciare dalla vicina Chiaramonti, ma nel nostro clima è stata una novità…
Che dire poj ciò che da noi vi si osserva in tutte le montagne del nostro distretto di Modica a cominciare dalle costiere sopra Comiso in sopra, non si osserva altro che una immensa biancura, senza che più si vede nè un palmo di terra nero e neppure alberi di qualunque genere perché le pampine sono tutte coverti di neve.
Tale vista continuò per molti giorni, e noj vittoriesi guardavamo da’ nostri punti promontori fin dove si estendeva la neve. Chiaramonte poj sembrava sepolto, e fu l’ultimo a comparire».
Delle altre città del Circondario, Busacca dà notizie solo di Modica, dove «il panorama che presentava…per la caduta estraordinaría della neve, era parso bellissimo. La città, i monti attorno, le pianure, avevano l’aspetto di un gran lenzuolo bianco, specialmente i tetti, i balconi, le vie furono un bell’effetto. Venti però impetuosi e nordici, talché il termometro segnava 2 gradi sopra zero. I vecchi si ricordavano che simile nevicata era stata circa 40 anni addietro [cioè nel 1859].
Ma non era finita. Fu febbraio a ripetere aggravandolo lo scenario, nella notte tra il 7 e l’8. La mattina del giorno 8 infatti «per tutti i viventi anche novantenni fu una sorprendente e spaventevole vista che in sostanza possiamo battezzarla come subblime, il guardare tutto una biancura immensurabile, e sterminata!!! Abbiamo descritto sopra la quantità della neve caduta nel mese Gennaro, ma tutt’altro a quella di questo giorno, allora cadeva a piccoli fiocchi, e giunse ad ammassarsi sino allo spessore da due a tre centimetri. Adesso mentre scrivo che sono le 11 antemeridiani, la neve che piove a falde e a fiocchi sembrano foglie degli alberi di carrubbo o di gelso e per lo meno pampine di mandorle.
Nel mio giardinetto ha atterrato la gran parte degli alberetti ed un bello e preggiato albero di ficodindia pure atterrato, e ciò per il gran peso che portava la neve che ammassavasi sulla foglia e in tutte le rame i quali avevano quatriplicato lo spessore. Se un ramoscello conteneva lo spessore di un centesimo per effetto della neve che vi si ammassava era divenuto dello spessore che ha un soldo, e così tutto in proporzione, oltre a quella grande quantità che trovava riposo sulle foglie, e fu per ciò che i danni caggionati in tutti gli oliveti, carrubbeti, giardini, e alberi di qualunque genere fu notevolissimo! Le pale o piante di opunzie poj peri[ro]no, ma per effetto dei ghiacci posteriori.
Ovunque lo sguardo volgevasi si osservava un grande, spettacoloso, meraviglioso, sorprendente, e subblíme panorama bianco! La neve che covertava l’intiera superficie della nostra placa e sulle tegole del nostro comune, e comuni vicini conservava lo spessore da 12 a 15 centimetri…».
Fortunatamente, non ci furono distruzioni di vigneti come quelle del 1864 (quando la temperatura era scesa a meno 7, bruciando le vigne che avevano appena gettato i tralci) ma il freddo eccezionale di quei primi anni ’90 insieme con la grave crisi economica fu causa non ultima dei grandi rivolgimenti politici e sociali, che di lì a poco avrebbero portato all’esplosione in Sicilia del moto dei Fasci, di cui in seguito anche Busacca annotò i sanguinosi sviluppi.
Ma il cronista, a Vittoria, ne colse anche alcuni aspetti giocosi.
«Era divertente -scrive- il vedere tanti monelli che ammontecchiavano neve nelle strade, nelle piazze e ne’ giardini. Vedevasi tanti personaggi sgherzosi
[pupazzi di neve, presumo]a quattro cantoni in diverse vie, o colonne o pilastri rialzati di neve in diversi luoghi». Infine, dall’eccezionale nevicata emerse una novità “gastronomica”. Né mancarono quelli positivi. Così conclude infatti l’autore: «Il Signor Michelino di Andrea profittando in questa congiuntura che possedeva una sotterranea e grande vasca vuota e inoperosa, volle tentare una specolazione di convertirla a serbatoj di neve (neviera), e infatti già la fece riempire da persone prattici del mestiere…».
L’esperimento riuscì, tanto che il 21 marzo successivo, in occasione «della entrata ufficiale del Signor Peppi Licitra promesso dalla Sign.na Adelina Mazzone del vivente Signor Notaro Giombattista, i sorbetti furono ghiacciati con la detta neve da Vittoria». Fu così che nacque l’idea della fabbrica di ghiaccio a Vittoria: appunto ex malo bonum…
6.Considerazioni di un testardo amico della
verità. Su un libro che dice falsità e sull’errata ora del terremoto del 1693
A) uno scrive un libro con notizie false: io
contesto sulla base di documenti e quello risponde che le mie sono solo
opinioni. Le sue falsità i fatti…
B)Un altro organizza per le ore 15 di giorno 11
la suonata a distesa delle campane a ricordo del terremoto del 1693. Contesto
garbatamente che il terremoto fu alle 2 del pomeriggio (e non alle 15) perché
le 21 dell’epoca corrispondono alle 14 di oggi e va a finire quasi “a
schifiu”…
Ma io ho la testa dura e più dura di me è la
storia e la realtà…
Poiché sulla questione dell’ora del terremoto
fissata alle 15 e da me contestata, sono intervenute parecchie persone ed in
ultimo l’amico Ignazio La China di Scicli (con molta cortesia), per concludere
la “controversia delle campane” (se cioè sia esatto suonarle alle 15
(ora presunta del terremoto) o alle 14 (come da me sostenuto) aggiungo ulteriori
informazioni. Vorrei infatti si tenesse conto dei documenti ufficiali spagnoli
dell’epoca. Che provengono dall’Archivio Generale di
Simancas (in mio possesso in copia), riguardano le carte trasmesse dal viceré
di Napoli conte di Santo Stefano e che furono esaminate dal Consiglio di Stato
(di cui faceva parte anche l’Almirante di Castiglia e Conte di Modica Juan
Tomas Enriquez de Cabrera) nella seduta del 3 marzo 1693:
1) lettera del Preside della Provincia di Cosenza
marchese Garofalo del 15 gennaio, che accenna a scosse del giovedì sera 8
gennaio, alla scossa del venerdì 9 e a quella dell’11, sentita poco prima delle
21;
2) lettera del 20 gennaio del governatore del porto
di Messina don Balthazar Bazan, che parla di una prima scossa il 9 alle ore 4 e
¾ della sera ora d’Italia, durata un largo Credo (cioè 20 secondi circa) e
della seconda l’11 a 20 ore e mezza;
3) lettera del 20 gennaio del Castellano di Catania
don Joseph de Bustos (salvatosi a stento), che fissa la scossa dell’11, a venti
ore e mezza.
Infine la prima relazione del viceré duca di Uzeda,
scritta il 22 gennaio e pervenuta a Madrid il 18 marzo, che fissa intorno alle
10 di sera la scossa del 9 e alle 2 del pomeriggio quella dell’11.
Preciso ancora che secondo il protomedico Domenico
Bottone, il terremoto dell’11 non si verificò con un’unica scossa, bensì con
almeno tre, una più potenti dell’altra, in successione.
Come si vede, la maggior parte delle note
convergono verso le ore 20.30, che secondo l’amico La China indica uno spazio
di tempo compreso tra le 13.40 e le 14.20; quindi, intorno alle 2 del
pomeriggio, come del resto confermato dal viceré Uzeda. Questo per la verità
storica. Poi si possono suonare le campane quando si vuole…
7.Su un volume di storia del vigneto
La pubblicazione di un bel volume di Antonio Patané sul vino ed i vigneti della zona orientale dell’Etna, mi conferma nel desiderio di completare al più presto un’opera analoga, intitolata “La civiltà della vite a Vittoria e nel suo territorio”. Ormai sono alla fine dell’elaborazione del testo, che fa la storia del nostro vigneto dal Seicento ad oggi, parlando dei grandi vini del passato e del presente: Frappato, Calaurisi (oggi noto come Nero d’Avola),Cerasuolo (fatto di Frappato e Calaurisi), del Moscato etc. etc. Nel mio testo si parla della prodigiosa espansione del vigneto dai primi del ‘700 fino alla fine dell’Ottocento, di quando Vittoria fu una delle zone magnificate per la produzione dei vini da Vito Amico, Domenico Sestini, Paolo Balsamo (che ne parla anche nelle sue lezioni universitarie). Ho utilizzato poi le “Effemeridi” di Orazio Busacca, un vero e proprio cantore del vigneto vittoriese, che ce ne fa la storia dal 1840 al 1896, cioè dall’inizio dell’ulteriore espansione ottocentesca fino alla grande crisi dovuta alla fillossera e alla guerra commerciale con la Francia. E poi anche i saggi di Salvatore Contarella e Neli Maltese e le distillerie: da quella dell’inglese Ingham del 1825 a quella dei Florio (entrambe a Giardinazzo) e poi fino alle distillerie dei primi del Novecento. Ma Vittoria fu creata tutta dal vigneto: e quindi anche accenneremo alle decorazioni di case e palazzi, e poi anche alla “lingua del vino”: vocaboli, proverbi e modi di dire ispirati alla vigna e al vino; e poi ai mestieri, ai carretti, ai dolci, al vino nella poesia (magnifiche le poesie di Neli Maltese): tutto un mondo che non merita di scomparire, ma che può dare il proprio contributo alla rinascita culturale ed economica di Vittoria…,
8.Il vigneto ed i carretti a Vittoria
Verso la fine del mio lavoro sul vigneto
vittoriese, non potevo non considerare il rapporto del vigneto con il carretto.
E pur se con ritardo rispetto a quando ho avuto il volume, debbo esprimere
tutta la mia ammirazione per il corposissimo lavoro -formidabile e ammirevole!-
realizzato dall’arch. Santino Leggio e dedicato alla celebrazione dell’opera di
suo padre, il maestro Giovanni Leggio, uno dei maggiori pittori di carretto di
Vittoria. Il volume, ricchissimo di immagini a colori, però, oltre ad essere un
devoto omaggio filiale ed un giusto riconoscimento al valore di un insigne
pittore di carretti (ma non solo), è un prezioso omaggio anche alla foltissima
schiera di artigiani-artisti (carradori, fabbri, pittori) che seppur quasi
sconosciuti crearono uno stile particolare: quello dei carretti “a vitturisa”,
riconosciuto e rinomato dagli studiosi alla pari con i maggiori esempi
palermitani e catanesi. Di questo stile particolare Leggio enumera i
rappresentanti operanti a Vittoria, con un recupero di memoria e di lavoro
impressionante e fondamentale per tutti coloro che si occupano di storia
materiale e dei rapporti tra opera dei pupi e pitture dei carretti.
E che l’opera di Leggio fosse riconosciuta è
dimostrato anche negli studi che ho avuto modo di esaminare sui carretti
(legati nel Vittoriese al grande sviluppo vinicolo dell’Ottocento). Giovanni
Leggio è infatti citato dall’arch. Salvatore Lo Presti nel suo studio su “I
carretti siciliani” (Flaccovio 1959), mentre il prof. Enzo Maganuco nel suo breve
saggio del 1944 intitolato “La decorazione dei carri e delle barche in Sicilia
con aggiunte varie sull’arte popolaresca” (che recentemente ho potuto leggere)
accenna alla scuola di pittori di carretto di Giuseppe Gilardi (operante a
Vittoria dal 1920 al 1940, con bottega in via Garibaldi accanto all’ex C.T.L.),
di cui appunto Leggio, Presente (inteso “Burritta”) ed altri furono allievi. A
questo proposito, il lavoro di Santino Leggio mi ha fatto pensare al famoso
“carretto di San Giovanni”.
In occasione infatti delle celebrazioni del
Quarto Centenario, fui informato che un bell’esemplare di carretto vittoriese,
fatto in occasione di una festa di San Giovanni, sarebbe stato fatto donare
dallo stesso Maganuco alla Città di Catania. Pertanto, su richiesta degli
stessi che mi informarono della questione, scrissi al cerimoniere del Comune di
Catania per chiedere che il carretto tornasse a Vittoria per qualche giorno per
il 24 aprile. La risposta fu negativa, e mi pare vertesse sull’impossibilità di
trasportare ed assicurare tale prezioso cimelio. Tempo fa, in occasione di una
visita a Catania, volli vedere questo famoso carretto e ne feci alcune foto che
qui riproduco. Ma con mia grande sorpresa l’unico carretto in mostra nell’atrio
del Municipio di Catania, assieme alle carrozze del Senato, è un carretto di
Floridia, del 1885. Del carretto di San Giovanni nessuna traccia. Ora ho letto
nel volume di Santino Leggio la stessa storia del carretto fatto donare da
Maganuco ai Catanesi, con pubblicate le foto delle pitture dei laterali, che
sono le stesse che io pubblico qui e che appartengono invece al carretto di
tale Salvatore Rizza di Floridia. In verità Maganuco parla sì di un carretto di
San Giovanni, ma non dipinto bensì interamente scolpito. Pertanto credo ci sia
stato un equivoco. Ma a questo punto vorrei sapere: che fine ha fatto il
carretto scolpito di San Giovanni fatto donare dal prof. Enzo Maganuco al
Municipio di Catania?
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